3. La ricerca filosofica, pertanto, deve avere inizio proprio dall'esperienza,
non limitandosi alla mera osservazione dei «fatti», come avveniva nell'empirismo
classico, ma pervenendo ad una «generalizzazione descrittiva» dell'esperienza, cioè ad
un'analisi dell'esperienza che sia, ad un tempo, logica e storica e che, in quanto tale,
presti eguale attenzione al dato osservato (come esperienza compiuta) e al processo
attraverso cui il dato è divenuto tale. In effetti è necessario «procedere col metodo
della generalizzazione, in modo che ci sia certamente qualche applicazione, e la prova di
un certo successo è l'applicazione al di là dell'origine immediata»(50).
Di qui la necessità di una «filosofia speculativa» («speculative philosophy») che
promuova l'interpretazione più generale dell'esperienza, sappia cioè conseguire il
massimo della concretezza e della generalità, elaborando un «sistema di idee generali»
(«system of general ideas»), «coerente» e «logico», in ordine all'aspetto razionale
e, al tempo stesso, empiricamente «adeguato» e «applicabile», capace di interpretare
«ogni elemento della nostra esperienza»(51)
e, perciò stesso, di raggiungere una visione organica del reale. Da ciò non consegue
necessariamente la capacità, per la filosofia, di adeguare la complessità del mondo
reale ai concetti generali(52).
Certamente, avverte Whitehead, «l'intenzione di generalizzare è buona, ma la stima del
successo è esagerata»(53). Una
filosofia, infatti, che pretende di ricavare deduttivamente il mondo delle cose da un
sistema logico ipostatizzato, cade nell'«errore della concretezza mal posta» («fallacy
of misplaced concreteness»)(54),
giacché trascura «il grado di astrazione che è implicito quando si consideri un'entità
reale unicamente in quanto essa esemplifica certe categorie del pensiero»(55). La filosofia non deve circoscrivere
il pensiero entro determinate categorie, perché in tal modo finisce con l'ignorare altri
«aspetti dei fatti»(56). Le categorie
del pensiero sono, invece, ricavate dall'esperienza ed estese, in via ipotetica,
all'interpretazione dell'intera realtà, essendo la logica connessa col divenire
temporale. I fatti non possono essere spiegati mediante concetti aprioristici; i concetti,
le categorie hanno un carattere empirico e un riferimento ontologico, un riferimento,
cioè, all'universo come relazione delle relazioni e non come sostanza(57). La tesi sostanzialista viene,
pertanto, ripudiata dal Whitehead. L'esperienza è inclusiva delle cose stesse nella loro
particolarità e, nel contempo, aperta alla novità del reale, per il suo carattere
«vettoriale», relazionale, che ne esplicita, appunto, il suo fondamentale riferimento
ontologico. Il momento empirico e il momento logico sono interconnessi. Quando si dice che
le «idee fondamentali [...] si presuppongono l'un l'altra in tal modo che, se isolate,
sono senza senso»(58), si vuole
affermare che gli stessi «fatti», se isolati, perdono di significato. Il mondo reale,
come chiarisce il Cesselin, ha «deux faces: l'armonia logica del suo ordine, e
il divenire che attualizza quest'ordine»(59).
La «coerenza» («coherence»), dunque, non s'identifica tout court con la
«logica» come tale, perché coinvolge un più vasto campo, ha proporzioni cosmologiche.
La «coerenza» è possibile solo se si coniuga con l'esperienza, se mantiene costante il
suo rapporto con la processualità dell'intera realtà. Sarà sempre la fondamentale
congruenza di razionalità ed esperienza(60),
che determina e condiziona l'autentica «coerenza» di un sistema speculativo e, perciò
della stessa filosofia(61).
L'indagine filosofica è problematica, aperta, mai definitiva, si svolge per
«tentativi», «passo dopo passo», non può «sperare in alcun trionfo finale»,
giacché essa non può mai realizzare una «sistemazione finale di generalità ben
definite», ma può produrre soltanto una «varietà di sistemi parziali di generalità
limitata»(62). I nostri pensieri sono
inadeguati. «Tranne le più semplici nozioni d'aritmetica, anche le nostre idee più
familiari e apparentemente ovvie, sono inficiate da codesta incurabile indeterminatezza»,
per cui la filosofia deve tener ben presente questo fatto se intende conseguire la
«giusta intelligenza dei metodi del progresso intellettuale»(63).
In definitiva, le sempre più ampie e comprensive generalizzazioni che la riflessione
filosofica formula non possono rimanere nel regno della pura astrazione, ma devono trovare
applicazione nei fatti dell'esperienza(64).
Sono i fatti, i «fatti irreducibili ed ostinati» («irreducible stubborn facts») ad
esigere la filosofia(65). «Il nostro
dato è il mondo così com'è, includendo noi stessi; e questo mondo così com'è, si
offre all'osservazione quale tema della nostra esperienza immediata. L'elucidazione
dell'esperienza immediata è l'unica giustificazione di qualsiasi pensiero; e il punto di
partenza del pensiero è l'osservazione analitica dei componenti di questa esperienza»(66). In base a ciò il metodo della
filosofia non s'identifica né col metodo induttivo né col quello deduttivo(67): non con il primo, perché esso tiene
legato il pensiero ad una «accurata sistematizzazione di una discriminazione dettagliata,
già effettuata da osservazioni precedenti»(68),
non con il secondo, perché esso fonda, su premesse indicate dommaticamente come
«rispettivamente chiare, distinte, e certe», un «sistema deduttivo di pensiero», non
tenendo conto che «esprimere accuratamente le generalizzazioni ultime è il fine della
discussione e non la sua origine»(69).
Per una filosofia, invece, che adotta, come suo metodo fondamentale, la «generalizzazione
descrittiva», la deduzione può essere valida soltanto quale «metodo ausiliare di
verifica», per «saggiare la portata delle generalizzazioni»(70). Ogni premessa è sempre il risultato dell'indagine
empirica, e la sua validità dipende dall'ulteriore verifica esperienziale. Il vero metodo
della filosofia è «come il volo di un aeroplano. Parte dalla terra di un'osservazione
particolare; fa un volo nell'aria leggera della generalizzazione fantastica e di nuovo
atterra per una nuova osservazione, resa acuta dalla interpretazione razionale»(71). In altri termini, la riflessione
filosofica ha a fondamento l'esperienza concreta nella sua integrità, ed è quest'ultima
che costituisce il criterio di prova e di verifica delle sue conclusioni. La funzione
della filosofia resta così definita come «critica delle astrazioni»(72) e, perciò stesso, come allargamento e
superamento delle categorie astratte che costituiscono la scienza. Ciò, tuttavia, non
significa negare la validità delle astrazioni «rispetto all'organizzazione di ricerche
scientifiche»(73), ma richiamare ad una
più vigile considerazione dei limiti delle astrazioni. Vero è che il processo del
pensiero non può fare a meno delle astrazioni, ma fissare l'attenzione esclusivamente ad
«un gruppo di astrazioni per ben fondate che siano» significa per definizione fare
«astrazione da tutto il resto»(74),
cioè prescindere dal «necessario sfondo ambientale» («requisite background of
sistematic environment»)(75)
spazio-temporale, in cui i vari eventi sono organicamente interrelati(76). Il vizio di «irrealtà», nel
processo del pensiero, è tanto più grave quanto maggiore è l'importanza dei settori
dell'esperienza da cui si astrae(77).
Il problema, allora, è quello di procedere ad una costante verifica dei processi
astrattivi, se si vuole realmente evitare l'errore di confondere l'astratto con il
concreto(78).
D'altra parte, il termine «astrazione», nell'uso whiteheadiano, non ha il significato di
«vacuità», di «non-esistenza», ma di «irrelatività», di «non-interdipendenza»(79). Whitehead chiarisce bene questo punto
con alcune esemplificazioni che riteniamo utile riportare per esteso. «Dicendo che lo
spazio e il tempo sono astrazioni, non voglio dire che non esprimano per noi fatti
reali della natura. Intendo invece dire che non ci sono fatti spaziali o temporali indipendenti
dalla natura fisica, ossia che spazio e tempo sono meramente modi di esprimere certe
verità riguardo alle relazioni fra gli eventi. [...] Essere un'astrazione non
significa per un ente non esser nulla. Significa semplicemente che la sua
esistenza è solo un fattore di un più concreto elemento della natura. Così un
elettrone è astratto, perché non si può toglier via l'intera struttura degli eventi e
tuttavia conservare l'esistenza dell'elettrone. Nello stesso modo è astratta la smorfia
del gatto; e la molecola è realmente nell'evento nello stesso senso della smorfia sul
muso del gatto»(80).